Ciao Carol.
Questa sera mia figlia è stata invitata ad una festa di compleanno a pochi passi da Piazza San Pietro, dopo le candeline e la torta, verso le 20.00 prima di risalire con gli scooter verso casa, abbiamo passeggiato, fra un fiume di gente, fino al sagrato e ci siamo fermati sotto le finestre di questo grande uomo morente.
Federica, la mia piccola di nove anni, già ieri in televisione aveva visto quella piazza piena di tanta umanità triste, in trepidante attesa dell’inevitabile. Aveva intuito la grandezza dell’evento, ma non era riuscita a collegare che il luogo dove tutto il mondo indirizzava la sua attenzione era in realtà a solo 2 km da casa nostra. Così le abbiamo chiesto se avesse voluto portare il suo ultimo saluto al Pontefice che più aveva amato i bambini. Senza esitare ha accettato e subito ne è rimasta molto colpita: l’atmosfera era irreale, gruppi di ragazzi cantavano inni da stadio all’indirizzo del Papa, centinaia di telecamere televisive trasmettevano in diretta in tutto il mondo le immagini che tutti abbiamo visto, molti pregavano, molti e molti altri ancora arrivavano in silenzio. Se è vero che il futuro sarà multi etnico, qui il futuro era già presente, tutti nessuno escluso, erano rappresentati. Per noi, c’è solo il tempo di tornare a casa, ed ecco che la ferale notizia ci viene servita.
Carol Wojtila alle 21.37 ci ha lasciato.
Mia moglie, pur credente e praticante, mi dice che lei ha avuto modo di vedere il Papa solo una volta, peraltro per motivi strettamente dipendenti dal lavoro. Io, che la conosco da circa 20 anni, faccio fatica a crederle, perché, seppur da ateo, il buon vecchio Carol l’ho visto spesso, e se ora scrivo queste poche righe, spero non inopportune, è perché tutti i miei ricordi del Papa sono strettamente legati alla corsa.
Nella nostra società sportiva esiste settimanalmente un appuntamento non scritto:
domenica mattina alle 9.00 davanti all’entrata principale di Villa Pamphili.
Si aspetta fino alle 9.10 massimo 9.15 poi, chi c’è c’è… si va.
Talvolta, se siamo o sono i soliti quattro gatti , si entra in Villa e si fa il giro lungo detto delle 2 ville con passaggio dal laghetto. L’andatura è decisa dai più lenti e allora per questa dozzina abbondante di chilometri serve sempre ben più di un’ora.
Quindi molta salute, due buone chiacchiere, ma sostanzialmente poche emozioni.
Quando al contrario, il gruppo è numeroso si punta decisi verso il centro della città, approfittando dell’unico momento della settimana in cui le auto ci lasciano un po’ di spazio. Passiamo dal Gianicolo, scendiamo fino al fiume, quindi Corso Vittorio Emanuele, le Sette chiese, qualche vicolo ed eccoci a Piazza Navona. Qui i più lesti girano al contrario per far riunire il gruppo, insieme si va al Pantheon, Fontana di Trevi, Piazza del Popolo, altro giro di riunificazione e via tutti assieme ad affrontare la salita che porta al Pincio. E’ la nostra Heartbreack hill, ma quando sei in vetta hai mezza Roma ai tuoi piedi e se c’è il sole sei il padrone del mondo.
Qui si beve a dovere, ci si rilassa e ci si saluta ancora una volta, poi chi è di lunghissimo taglia Villa Borghese e va verso l’Acquacetosa, chi doveva fare “poco” si avvia sulla strada del ritorno.
Entrambi i gruppi, anche se con tempi diversi, arrivano agli ultimi 1500 metri di fatica sul sagrato di Piazza San Pietro, da qui all’entrata di Villa Pamphili c’è solo uno strappo finale. Io negli anni, sono stato quasi sempre fra quelli del lunghissimo. Arriviamo verso mezzogiorno e prima di spendere le ultime poche energie per affrontare l’erta mancante, ci fermiamo con abiti improbabili ad ascoltare alcuni passaggi delle parole del Papa.
Ogni volta, e non lo dico per retorica, è veramente un momento importante.
Concludo queste mia testimonianza raccontandovi l’episodio della Maratona del Giubileo partita da Piazza San Pietro nella tarda mattinata del primo gennaio 2000. Benché rimanga la maratona meno partecipata tra le undici edizioni di Roma, resta di gran lunga la peggio organizzata. Nacque male quell’idea del compianto Nebiolo, forse lanciata senza immaginare le difficoltà che avrebbe incontrato.
Tutto il mondo festeggiò la notte del 31/12/1999 con un impeto e un entusiasmo assolutamente non prevedibili. Al centro di Roma, come a San Pietro e al Gianicolo, migliaia di automobili si incastrarono in un groviglio inestricabile di lamiere, finché i più tornarono a casa a piedi, lasciando le auto al centro della strada. Il risultato fu devastante. La mattina successiva, gli incaricati a montare le transenne e il palco della zona partenza nonché le gabbie divisorie, non riuscirono ad arrivare per tempo.
Fu un caos inarrivabile, 3000 corridori in mutande si aggiravano senza metà, tra l’allora sindaco Rutelli e tutta l’amministrazione pubblica in pompa magna, pur essi privati di un apposito settore. Migliaia di tira tardi con tasso alcolico ben oltre il consentito, si mischiarono a fedelissimi della prima ora. L’unica nota non stonata fu la sua, quella del serafico Carol, che dall’alto della sua finestra, quella che tanto abbiamo visto in queste ore, ci benedì tutti: fedeli, festaioli e maratoneti tutti meritevoli della sua considerazione e del suo infinito messaggio di pace.
Ciao Carol ci mancherai.
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