Maratona di Latina 2007

Pubblicato da GIAN CARLO venerdì 7 dicembre 2007


Quando il gioco si fa duro...

Proprio qui a Latina, esattamente cinque anni fa, per una coincidenza che oggi non merita menzione svestii i panni del maratoneta e indossai quelli del narratore.

Molte lune son passate da allora.
Tanti, forse troppi, colpi di pistola, in apparenza tutti uguali eppure capaci nella loro unicità di trasmettere emozioni differenti.
Correre e scrivere come fossero uniti in unico gesto, testa e gambe, tastiera wireless e mizuno; punti e virgole per rappresentare lap e finish time.

Pazzia.
Pazzia prossima all’analisi, ma sempre condita da un sano entusiasmo.
Crolla il muro delle tre ore e giù un poema, non si va sotto ai 38 sui 10k e tra le lacrime parte un’ode all’eroico corridore ancora una volta vinto dalla malasorte.
Come non spendere parole pregne di sentimenti dopo aver corso con alterni risultati ora sulle strade di Madrid, ora su quelle di Stoccolma.
La simbiosi è viva; sono a Central Park, il sogno di far bene naufraga nei cessi chimici della Grande Mela, io non penso più a come tagliare il traguardo, ma a come descrivere una così grande emozione.
La pioggia di Londra sveglia dal torpore le mie membra affaticate e subito le parole riempiono questo spazio fatto di orgoglio e primavera.
Dal Canada a Quebec City corro più con gli occhi di chi vuole catturare ogni impressione che con il passo di chi si illude di far leggenda.
Storie, fatiche, sensazioni, fra queste è al passatore che va la palma d’oro.
Cento chilometri come dice Don Feliziani sono un viaggio, un viaggio nell’ignoto, un viaggio dentro se stessi, una metafora della vita, ma anche un percorso fatto di case, piazze, palazzi, genti, paesi, giorno, notte, sonno, fame, privazioni, gioia, infinito.

Poi questo giocattolo, così come vuole la regola si rompe, la corsa diventa priva di passione, senza vere motivazioni. Generalmente va a braccetto con scuse labili: almeno non ingrasso e mangio quanto voglio; in compagnia si chiacchiera della vita e la vita si fa meno aggressiva...etc etc…
Sembra il non ritorno, ma fortunatamente non è così, lontano lontano la fiammella brucia, cinque a chilometro a tratti non è neanche un facile andare, ma sotto la brace qualcosa cova.
Ed è così che un bel giorno arriva il caldo, e… “miracolo” mi accorgo di non soffrirlo, subito mando una gamba a seguire l’altra con una passione che sembrava sopita. Ora è freddo, ma non serve coprirsi tanto, basta spingere con il ritmo giusto e d’incanto il microclima che mi circonda è sereno e inebriante.

E’ il segno, ci siamo, è ora che si torni a fare una maratona come la mente vuole.
I cinquanta sono prossimi, i tempi di una volta non torneranno, ma si volerà, dove volare vuol dire correre liberi da frustrazioni, con la consapevolezza che ciò che verrà sarà ancora una volta sogno. Il sogno di essere protagonista, il protagonista dei miei passi.

La gara.
L’umidità è prossima al 100%, ma il bicchiere è quasi pieno, non piove, quel poco di sole che a tratti fa capolino non disturba, di vento solo pochi innocui refoli, il termometro dice dodici e in corso d’opera poco crescerà.
E’ l’ora di dimostrare, a se stessi in prima battuta, e a questo mondo ricolmo di miscredenza che la fede è tornata.
C’è un copione da recitare: terminare sotto a 3h e 15 con una mia particolare gestione della fatica che un tempo fu religione capace di fare proseliti sia in Astra che in galassie lontane.
Si parte a 4,30 al km che fa 1h e 30 ai 20 km e 1h e 35 alla mezza.
Mi scorta Filippo, il nemico di tante battaglie, oggi è in bicicletta e il suo appoggio si dimostrerà tanto logistico, quanto emotivamente partecipato. Per oltre due ore mi incita continuando a dirmi, con ragione, che strappo un po’ troppo. E’ vero, spingo sui piedi con forza, e questo mio andare non è certo un esempio di fluidità, ma la regolarità ai passaggi è impressionante. Li controllo di cinque km in cinque km e al massimo mi discosto dal programmato di 2 o 3 secondi.
Sono nel parco nel Circeo, è bello ma lo sterrato è pieno di insidiose di pozzanghere per la tanta acqua caduta fino a poche ore prima del via. Sul lungomare finalmente torna l’asfalto, sono dieci km in direzione nord: è incredibile, ma sembrano tutti in salita, eppure ricordo una decina di anni fa di averli percorsi in direzione opposta con la stessa sensazione.

Al diciottesimo km la mente vola ancora a un lustro or sono dove un Giancarlo più giovane e super allenato, in questo preciso punto, stava per passare alla mezza sotto all’ora e trenta quando d’improvviso nacque una piccola vescica sotto al piede sinistro capace in pochi attimi di far crollare il mio castello di carte.

Esce il sole, mi spoglio, ero partito con la maglia a manica lunghe e, grazie a Filippo che ha portato il cambio, vesto la canotta che meglio si adatta a quest’aria non più mattutina. Per un km circa ho corso a petto nudo giusto il tempo di venire immortalato dalla fotografica di un mio omonimo.
Ovviamente nessuno pagherà mai dieci centesimi per vedere un simile “affronto” stagliarsi al fianco dell’incomparabile bellezza del Circeo mentre si specchia tra le dune di Foce Verde.
Ai 20km sono un “secondo” sotto media, ma alla mezza sono in anticipo di un amen.
Va bene, anzi meglio, da ora in avanti l’idea è di rallentare progressivamente prevenendo quello che sarebbe il calo fisiologico. Rispetto alla mia tabellina comincio a guadagnare circa 20 secondi ogni 5km e questo o è frutto di quella baldanza che si paga nel finale, o semplicemente valgo un tempo inferiore all’obiettivo. La seconda che hai detto… diceva quello !!!
Filippo continua a suggerirmi di accorciare il passo, ma io proprio non ci riesco. Evidentemente o l’umidità non mi fa girare al meglio le articolazioni o gli ultimi lunghi hanno lasciato qualche strascico.
Al 30esimo un Calabrese di Soverato mi da un pezzo di barretta al peperoncino che a nulla serve se non a porsi il dubbio che possa farmi male oltre il lecito.
Km 35, tempo di bilanci: il polpaccio destro mi si è irrigidito, sotto di lui, il piede che seppe di calcio mi da il classico fastidio del bruciore da stress, sotto la pianta sinistra è una piccola vescichetta a cercare popolarità, ma nel complesso sto bene o se preferite, così come dice la pubblicità della coca-cola, sto benissimo J
Sono dentro al tunnel.
Esatto, sono dentro al dolore, precisamente dove volevo essere, e questa è la mia mission: gestire. Fuori dal tunnel, non c’è divertimento, non c’è pathos, niente amore…vivo e mi nutro di questi km.
E’ chiaro che non mi fermerò, e’ chiaro che arriverò per tempo, e chiaro che quando voglio so essere un maratoneta.
Rivendico eguale dignità di chi soffre per 5 ore o di chi vola a 3 minuti al km. C’è una sola distanza ed è quella che serve per arrivare ad Atene partendo da Maratona.
Latina è la mia 22esima Atene, è fatta, nessuna bonifica, nessuna vendetta, solo pace e serenità.
Il tempo(3h.13.25) solo un dettaglio, la certezza di aver fatto il “mio” la luce. Una piccola grande dedica a mamma e un abbraccio virtuale a tutti quelli che, traguardo dopo traguardo, si rimettono in discussione.

4 commenti

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  1. Alvin ha scritto:
  2. Bel racconto...la poesia applicata alla corsa....per il tempo poi...lo facessi io!!!

     
  3. GIAN CARLO ha scritto:
  4. @Alvin, il tempo lo farai, continua ad allenarti e ad usare la benzina giusta :-)

     
  5. Micio1970 ha scritto:
  6. Questo racconto (ogni tanto spizzico il tuo blog oltre il "giornaliero") mi ha veramente emozionato ... non solo per i dettagli tecnici ma per come sai trasmettere e scrivere le emozioni!

     
  7. GIAN CARLO ha scritto:
  8. @Micio, ancora un grazie da qui a "Domani" riempirai di pagine anche + belle la tua storia corsaiola

     

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